Oltre cento anni fa (1919), l’editore Vallecchi di Firenze dava alle stampe un pamphlet di Giovanni Papini. Si intitola Chiudiamo le scuole. Leggendolo (disponibile in Rete e ancora reperibile in qualche copia edita da Millelire nel 1992) si corre il serio pericolo di rimanere travolti dai suoi toni dissacranti. Ma qualche verità pure contiene:

“Diffidiamo de’ casamenti di grande superficie, dove molti uomini si rinchiudono o vengon rinchiusi. Prigioni, Chiese, Ospedali, Parlamenti, Caserme, Manicomi, Scuole, Ministeri, Conventi. Vi sono sinistri magazzini di uomini cattivi davanti a’ quali non si passa senza terrore. Lì son condannati al buio, alla fame, al suicidio, all’immobilità, all’abbrutimento, alla pazzia, migliaia e milioni di uomini che tolsero un po’ di ricchezza a’ fratelli più ricchi o diminuirono d’improvviso il numero di questa non rimpiangibile umanità. Ma cosa hanno mai fatto i ragazzi che dai sei ai ventiquattro anni chiudete tante ore del giorno nelle vostre bianche galere per far patire il loro corpo e magagnare il loro cervello? Non venite fuori colla grossa artiglieria delle ragioni della civiltà… Noi sappiamo che la civiltà non è venuta fuor dalle scuole e che le scuole intristiscono gli animi invece di sollevarli e che le scoperte decisive della scienza non son nate dall’insegnamento pubblico ma dalla ricerca solitaria disinteressata e magari pazzesca di uomini che spesso non erano stati a scuola o non v’insegnavano. Sappiamo ugualmente che la scuola, essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali. Soltanto per caso e per semplice coincidenza – raccoglie tanta di quella gente! – la scuola può essere il laboratorio di nuove verità”.

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Luigi Bramato (Bari, 1984) dirige la casa editrice LB edizioni. Dal 2018 è titolare della libreria Bari Ignota e dal 2019 scrive per le pagine culturali della Gazzetta del Mezzogiorno.

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