La sera del 2 dicembre 1943, il porto di Bari fu teatro di uno dei più grandi disastri della Seconda Guerra Mondiale: 105 bombardieri tedeschi della micidiale Luftwaffe affondano ventotto navi alleate intente a scaricare merci. Tra esse, l’americana “SS John Harvey” che trasportava, sotto segreto militare, 2000 bombe all’iprite M47A1.

Oltre mille le vittime tra civili e militari anche a causa delle esalazioni del gas.

Qualche anno fa, questo tragico episodio è tornato alla ribalta delle cronache in riferimento alla nascita della chemioterapia: le vittime di Bari sarebbero state le cavie involontarie del progresso scientifico nella cura del cancro.

Ma come sono andata davvero le cose? L’abbiamo chiesto allo storico Francesco Morra.


Bari, 98° ospedale militare britannico, 7 dicembre 1943: il tenente colonnello medico americano Francis Stewart Alexander giunto in aereo da Algeri, sede del quartier generale delle Forze Alleate nel Mediterraneo, ha appena terminato la sua prima visita.

Tenente colonnello medico americano Francis S. Alexander

Prima di partire da Algeri, aveva ricevuto dal generale Blesse, un’unica, laconica comunicazione: 

Ci sono inspiegabili decessi avvenuti a seguito dell’incursione aerea tedesca del 2 dicembre su Bari. È probabile che si tratti di gas tossici.

Foto del bombardamento di Bari, 2/12/1943 (Collezione Priv.: Nicola A. Imperiale)

Ma di quali gas tossici si trattava? E perché i medici a Bari non riuscivano a capire cosa stesse avvenendo?

Il rapporto medico sulle vittime del 2 dicembre 1943

Appena arrivato, Alexander studia i pazienti, chiede informazioni a medici e infermieri, si aggira tra le autorità militari per chiedere la documentazione ufficiale.

Dopo quattro giorni di studio, finalmente, l’11 dicembre, Alexander mette per iscritto le sue conclusioni: le ustioni denominate NYD (dermatiti non ancora identificate) erano dovute all’iprite mescolatasi al petrolio presente nel porto.

L’iprite era a bordo della nave americana John Harvey, che colpita durante il bombardamento tedesco era saltata in aria due ore più tardi.

Da quel momento l’attività di Alexander si fa frenetica avendo due compiti fondamentali da portare avanti: da un lato cercare di sottoporre i pazienti alla cure più appropriate, dall’altro condurre un’accurata investigazione medica: studiare i sintomi dei pazienti ancora in vita e fare autopsie sui deceduti per cercare di comprendere in che modo l’iprite agisca sul corpo umano con i suoi terribili effetti.

Questa sfortunata, drammatica occasione offre infatti l’opportunità di fare studi scientifici aggiornati. Alexander nota come l’iprite colpisca in particolar modo il sistema linfatico e il midollo spinale delle vittime causando un’aplasia midollare portando ad una drastica riduzione dei globuli bianchi.

E scrive due relazioni mediche, una il 27 dicembre 1943 e l’altra il 20 giugno 1944 che sono inviate a Edgewood negli USA e a Porton Down in Gran Bretagna, entrambi centri di studio dell’arsenale chimico.

Relazione del 20 giugno 1944

La conferma scientifica

Le relazioni iniziano a circolare in vari istituti di ricerca medica.

Il primo a interessarsene è Cornelius Rhoads, capo della divisione medica del Servizio chimico di guerra, che dal 1945 diventerà il direttore del Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, uno dei principali istituti di ricerca sul cancro al mondo.

Dal 1942, Gilman e Goodman, dell’Università di Yale avevano già fatto esperimenti con un azotato di iprite su sette pazienti colpiti da cancro. Si chiedevano: se l’iprite è un citostatico, può essere usata per combattere i linfomi?

L’importanze delle relazioni di Alexander

Le relazioni di Alexander si rivelano preziosissime, per via della ricchezza di informazioni degli effetti dell’iprite sul corpo umano condotta su un ampio numero di vittime.

Gilman e Goodman continuano a somministrare azotati di iprite e nel 1946 pubblicano un articolo scientifico su JAMA (Journal of American Medical Association): nasce ufficialmente la chemioterapia.

Le vittime di Bari erano così diventate, triste a dirsi, della cavie involontarie dello sviluppo della ricerca medica nella lotta contro il cancro.

La storia della chemioterapia

Il ruolo di Alexander e del disastro di Bari nello sviluppo degli studi sulla chemioterapia è tornato di recente nuovamente all’attenzione a settembre 2020, quando la prestigiosa rivista scientifica americana Nature, ha pubblicato la recensione al libro di Jennet Conant, The Great secret – The classified WWII Disaster that launched the War on Cancer, una tra le più complete ricostruzioni della storia della lotta al cancro attraverso la chemioterapia.

Quasi i 2/3 delle 320 pagine del libro erano dedicate al dramma delle vittime baresi colpite dai gas chimici e alla spasmodica lotta contro il tempo condotta da Alexander.

In realtà le indagini scientifiche di Alexander erano già state ampiamente messe in luce dal libro Disastro a Bari – La storia inedita del più grave episodio di guerra chimica nel secondo conflitto mondiale scritto dal maggiore americano Glenn B. Infield nel 1971 e pubblicato in Italia nel 1977 da Adda Editore (nel 2003 seconda edizione con introduzione dei prof. Giorgio Assennato e Vito Antonio Leuzzi).

Le motivazioni del maggiore

Infield si era interessato alla vicenda di Bari e del medico Alexander, per via di una circostanza molto personale.

La racconta in un articolo apparso su American Heritage dell’ottobre 1971: a metà degli anni ’50 a sua madre era stato diagnosticato il linfoma di Hodgkin.

Infield aveva perciò contattato lo Sloan-Kettering Institute di New York dal quale ricevette la ristampa del testo di una conferenza tenuta dal direttore Rhoads nel quale si parlava dell’incidente di Bari e di come questo incidente avesse contribuito agli studi sulla chemioterapia.

Infield, in pensione e che già aveva cominciato a scrivere saggi di storia militare, ne rimase incuriosito: non aveva mai sentito prima parlare del bombardamento di Bari e dello scoppio delle bombe di iprite sulla Harvey e nel richiedere informazione ai National Archives americani gli era stato risposto che gran parte della documentazione risultava ancora classificata (sulla base dei “30 years rule”).

L’inchiesta di Glenn B. Infield

Infield non si diede per vinto e tramite vari contatti e ricerche riuscì finalmente a scovare il medico Alexander, in quel momento dirigente medico di un ospedale nel New Jersey.

All’inizio riluttante, dopo aver conosciuto personalmente Infield, Alexander acconsentì a fornirgli tutte le informazioni mediche: nel 1947 infatti, le relazioni mediche del 1943 e 1944 erano state pubblicate sulla rivista The Military Surgeon e perciò molti degli aspetti medici della vicenda erano stati declassificati.

La rivista “The Military Surgeon”

È per questo che il libro di Glenn Infield è a tutt’oggi insuperabile per quanto riguarda tutte le vicende di carattere medico del disastro di Bari.

Tuttavia Alexander rispettò rigorosamente tutti gli altri aspetti di carattere più propriamente militare che erano ancora sotto il rigido segreto militare: Alexander infatti non informò mai Infield che Eisenhower aveva istituito una Commissione d’inchiesta sugli eventi di Bari che avrebbe poi prodotto il “Bari Report”.

E Alexander non informò mai Infield che lui stesso era stato un membro di questa Commissione d’inchiesta presieduta dal generale britannico Chichester-Constable.

Quello che fece Infield fu dunque un eccellente lavoro di inchiesta giornalistica con la quale, usando una fonte interna come il dr. Alexander poté svelare per la prima volta al grande pubblico la storia del disastro chimico di Bari.

Ma proprio perché Infield si avvalse di una fonte interna, mancavano ancora alcuni dettagli fondamentali che non consentivano ancora una completa e definitiva ricostruzione di carattere più storiografico.

Desecretati i documenti del disastro del 2 dicembre 1943

Solo nel 2000, la pubblicazione di George Southern, Poisonous Inferno e nel 2014 con il mio Top Secret Bari 2 dicembre 1943, approfondimento storiografico delle mie ricerche svolte per il documentario 2 dicembre 1943 inferno su Bari andato in onda prima sulla RAI e poi più volte trasmesso dai canali History di Sky, è stato possibile ricostruire dettagliatamente, dal punto di vista storico le vicende del disastro di Bari, completando così i tanti tasselli mancanti.

Infield aveva sostenuto che morti tutti gli ufficiali a bordo della John Harvey nessuno a Bari potesse più sapere che la Harvey aveva a bordo armi chimiche.

Gli ufficiali comandanti sapevano del carico…

Ma ora sappiamo che così non fu poiché gli ufficiali comandanti del porto a Bari erano perfettamente a conoscenza del carico di iprite a bordo della Harvey la sera stessa del 2 dicembre, che il 3 dicembre il NOIC di Bari telegrafò ad Algeri informando il Quartier Generale Alleato della dispersione di gas nel porto di Bari e che alle 14.25 del 3 dicembre l’HQ2 di Bari, a seguito di riunione, decise di apporre il segreto militare sui gas non informando il personale sanitario.

Ed ecco allora, che dobbiamo allo storico Infield e alle accurate relazioni di dottor Alexander tutto quello che sappiamo sulla nascita di una delle scoperte mediche più importanti del secolo scorso, la chemioterapia, e del contributo involontario offerto nel 1943 da centinaia di cittadini baresi.


Link Wikipedia:

https://it.wikipedia.org/wiki/Bombardamento_di_Bari

© 2023 Tutti i diritti riservati

+ posts

Francesco Morra è autore del soggetto, delle ricerche storiche originali e co-sceneggiatore del documentario “2 dicembre 1943: Inferno su Bari" (regia Fabio Toncelli) prodotto dalla SD Cinematografica di Roma andato in onda sui canali RAI e History di SKY. Autore del libro "Top Secret Bari 2 dicembre 1943 – La vera storia della Pearl Harbor del Mediterraneo" (Castelvecchi).

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *