Imbevuto di un sentito compianto, di rimembranze perdute, di speranze disattese, la parola che userei per meglio descrivere il punto di raccordo tra i sedici contributi russisti di Generazione Putin. Pagine dal 24 febbraio (Stilo Editrice, pp. 140) è “nostalgia”. Se l’etimo suggerisce bene, e come sempre ne faccio strumento prezioso per intercettare il rizoma di un significato, νόστος (ritorno) e ἄλγος (dolore) – “ritorno al dolore” – figurano come i due capisaldi principali del volume curato dal ricercatore di Slavistica Simone Guagnelli. In prima istanza, infatti, l’opera collettanea esterna la lacerante sofferenza di chi, vissuto e formatosi nella Russia post-sovietica e putiniana, di quelle Pagine di Russia, di quella “terra degli zar” di trent’anni fa, non riconosce più un cifrario valoriale ma ne vede solo un simulacro difforme e deforme.

24/2: io ho provato vergogna. Non per la Russia. Ho provato vergogna per me, da 10 anni docente di lingua, di letteratura e di cultura russa all’università di Bari. […] In questi dieci anni, a furia di parlare di Gogol’ (che era ucraino), di Bulgakov (che era ucraino), di Majakovskij (che era georgiano), di tante cose culturalmente belle e complesse, mi sono sempre dimenticato di parlare del presente, del Putin che ho visto politicamente nascere, poi crescere e fare tanti, tantissimi danni (p. 33).

Ad incunearsi tra le parole, d’altro canto, è però un nostalgico e retroattivo “ritorno” al ricordo, una culla di intimità, custodia di frame delle memorie, di reminiscenze di gioventù, dei primi baluardi di consapevolezza, che ognuno dei sedici professionisti (Stefano Aloe, Marco Caratozzolo, Guido Carpi, Alessandro Cifariello, Claudia Criveller, Giulia De Florio, Donatella Di Leo, Giuseppina Giuliano, Simone Guagnelli, Andrea Gullotta, Giulia Marcucci, Massimo Maurizio, Claudia Olivieri, Laura Piccolo, Bianca Sulpasso e Massimo Tria) ridesta con rammarico, con amarezza, con incredulità o con – per l’appunto – nostalgia.

Lo so, quando penso alle bombe sulla verde Kyïv e su Charkiv, e sulla mia amata Odessa, pare assurdo anche a me di trovarmi in un sontuoso teatro ad ascoltare un’opera. Ma non perché quell’opera è russa. Né perché sono russi molti dei bravissimi interpreti. L’assurdo non nasce in quel teatro, ma fuori d’esso. Grazie a Čajkovskij coltivo una speranza: che le mie lacrime di dissonanza tra il bello del teatro e l’orrore dell’esterno abbiano la stessa formula chimica che rigenererà la Russia dalla sua metastasi politica. Non dobbiamo censurare ai russi l’arma più potente di cui dispongono per rovesciare il putinismo: la loro cultura (p. 61).

Ma esiste davvero «una Russia in Russia»? (p. 63). Esiste davvero una Russia intesa come entità territoriale, patria della letteratura dell’Est, di imperituri capolavori teatrali, contrapposta al Leviatano che serpeggia tra le ambizioni della Russia al Potere? E quale Russia è veramente “russa”?

Con uno stile che tutto si può definire fuorché univoco, ma che si veste della pluralità di voci di cui si avvale, di un sentimento corale di amore che si staglia fiero tra le pagine, quasi a contrastare l’onda orrifica di altre “pagine” di cronaca russa che dal 24 febbraio sgomentano e annichiliscono, l’opera edita dalla Stilo Editrice conferisce al lettore l’humus per non ammantare del siluro putiniano ogni fenditura della storia del Paese.

Non un dibattito politico, sebbene in alcuni istanti lo sfiori con fisiologica immediatezza, ma una fucina di tepore emozionale. Generazione Putin è un ventre, che tra prosa e poesia (coi contributi di Laura Piccolo e Claudia Olivieri) non digerisce la ferinità di un Paese che non riconosce, come non ne digerisce la costola “denazificante” che fomenta la violenza: «muta la geografia, muore la Storia» (p. 105).

C’è chi, tra i sedici russisti, ha dato alla propria figlia un nome di origine russo, per affezione viscerale nei confronti di questa terra così multiforme; chi ha amato una donna di origine russa, e ha rivisto nella fuggevole gentilezza delle sue rughe d’espressione le venature mutevoli della Russia stessa; c’è un padre, che è stato separato dal proprio figlio per la seconda volta a causa del lavico orrore della guerra; c’è chi custodisce ricordi dei primi anni di studio, di ricerca, di lavoro, di vita moscovita e non solo. La riflessione che si innerva, annidata in ogni parola battuta, è il bisogno salvifico di riscattare questo territorio, creatura bifronte, nata angelica ma con geminazioni “lucifere”.

Lacrime che sono forse la risposta al senso di impotenza, di dolore, di incapacità. […] E intanto la Russia, quella Russia che amiamo, di quell’amore che provi, se sei fortunato, una volta nella vita, è lontana. E c’è anche un altro grido, soffocato. Che la Russia non è solo quella che bombarda. Che c’è una Russia che dice no alla guerra. C’è una Russia, in Russia, che coraggiosamente la dice questa parola, ‘guerra’ (p. 63).

Esistono russi che si oppongono al massacro che Vladimir Putin chiama “operazione militare speciale”. Molti di loro sono la forza propulsiva della reazione, della resistenza, coloro che tentano di osteggiare la depravazione che «si dipanava come una ragnatela, sempre più fitta e sempre più polverosa, fino alle minute vite quotidiane» (p. 49).

Generazione Putin racconta di una lotta senza sangue, di una battaglia in pectore dall’eco centripeta, che con la caparbietà del pensiero collettivo scagiona la Russia dal suo lacero cuneo: la manipolazione. Solo così la “Z” sui carri armati, capilettera di Za pobedu (“Per la vittoria”), potrà forse diventare lo stendardo della vittoria della Pace e non il simbolo monco di una vanagloriosa nuova razza ariana; solo così i russi potranno tornare a chiamare rodnoj (“caro”) amici e parenti ucraini, senza che i rintocchi di quella sillabazione presagiscano una pretesa di appartenenza imposta, coercitiva.

Se «nella frantumazione brutale di vite» (p. 133) la Russia ha una risorsa, e la Generazione “no – Putin” vuole farne il proprio armamento, è la cultura, unguento lenitivo contro la morte della democrazia.

«Dobbiamo guardare nuovamente alla storia, cultura, letteratura russe con sguardo critico e segnalare, ricercare, insegnare la Russia che amiamo, difendere le diversità, cambiare prospettiva» (p. 125).

Per l’Ucraina. Per la Russia.

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Laureata in Filologia Moderna, Scrivo per una testata di informazione cittadina e da poco opero revisione testuale e correzione di bozze su libri eterogenei. Appassionata di poesia, ho sempre pensato che scrivere sia una sonda ed io continuerò ad esplorare.

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