Una scrittura diafana, che sa fotografare, quella di Sogno di pace a Kiev. Diario di una missione umanitaria nell’Ucraina in guerra di Francesco Minervini (Stilo Editrice, 2022).

Una penna che sa farsi fotografia, inchiesta, autobiografia, a tratti allegoria, declinandosi nelle diverse sfaccettature dei significanti e dei significati, e che come un foglio traslucido permette al lettore di poter guardare oltre, al di là di ogni parvenza.

Il volume, in formato agile, è un racconto di viaggio: il racconto di una carovana della paceStopTheWarNowche il 26 settembre è partita dall’Italia per raggiungere Kiev e che dolorosamente il 3 ottobre ha fatto ritorno con la presa di coscienza che «non ci potrà mai essere fine alla guerra finché il suono delle esplosioni farà più eco delle ragioni della non violenza».

Del resto l’autore, Francesco Minervini, docente di Lettere al Liceo classico, è da sempre in prima linea nella lotta per la giustizia e la legalità, sensibile ai temi dei diritti civili e delle uguaglianze e infaticabile attivista.

Più di 175 gli enti italiani partiti con lui alla volta di StopTheWarNow, per fornire aiuto umanitario, per lanciare un messaggio di sensibilizzazione, per mobilitare una raccolta fondi col fine di finanziare le spese legali degli attivisti ucraini sotto inchiesta e soprattutto per farsi portavoce del diniego nei confronti dell’invasione russa in Ucraina. Loro sono stati «chi costruisce oggi per domani».

Sette capitoli, sei giornate, in cui il racconto diventa reportage, una fotocronaca di visi e di territori, in cui però dimorano incuneati i pensieri, le sensazioni, lo stupore amaro di chi ha conosciuto non solo la «guerra delle bombe» ma la «guerra dell’anima», quella che ti solca dentro e scava fino a trovare il fondo, quando ormai è troppo buio e non sembra esistere un’alternativa.

La stessa guerra simile ad un treno che «quando parte non riesci a fermarlo e non riesci a scendere», che trabocca dagli occhi e dalle parole di due sfollati di Khariv e Zaporizhia, che testimoniano la sua onta, raccontando di come la propaganda russa abbia sequestrato approvvigionamenti, servizi sanitari, emittenti e trasmittenti. Di come la propaganda russa abbia sequestrato la loro dignità.

Francesco Minervini documenta, con intimismo e semplicità, non solo la guerra della distruzione, ma anche quella dell’abluzione, che ‘annega’ le sorti di un popolo che «si dice ucraino ma che è in realtà erede di una coesione di rumeni, cosacchi, tartari, turchi. E russi». Ogni ucraino ha almeno un parente russo, un rodnoj. Gli ucraini hanno ricominciato a parlare l’“ucraino” nonostante la lingua nazionale, quella percepita come “lingua del popolo”, fosse il russo.

Quella rintanata nell’inchiostro di Sogno di pace a Kiev è una guerra ambasciatrice di un male che non viene «dal nemico, ma dall’amico», una dialettica di identità ormai sconnesse, in cui alcune pretendono di essere più autentiche di altre.

La guerra cambia le prospettive, vilipende la quotidianità, è un multiverso parallelo in cui ad essere abitati non sono palazzi ma bunker, in cui la prima luce del mattino è quella impolverata delle macerie, la colonna sonora delle giornate le sirene antiaeree. È questo il significato di questo libro: raccontare una verità, una vita, attraverso le persone, i luoghi, i suoni, gli odori.

Con la potenza immediata e comunicativa di un paesaggio e con la capacità mimetica di una frase, Minervini descrive una vita che si snoda in altri ritmi, con altre priorità, e che è «pur sempre una vita», fatta di bandiere e manifesti per la pace, di centri per lo smistamento aiuti, di piazze che commemorano gli uomini persi in guerra. Una vita in cui i luoghi non sono più viali di passeggio, ma tappe di un percorso di sopravvivenza.  

Il passo, fra i tanti, forse più emblematico e desolante, è a pagina 26:

[…] E racconta della bella trovata di un sindaco rumeno […] che, alla vista dell’arrivo oltre corte di bambini impietriti dalla guerra, ha cosparso di giocattoli la strada su cui dovevano viaggiare […] che tentava di simulare un paese dei balocchi che fosse più di un’illusione e che costituisse la speranza di un calore, di un’accoglienza, di un barlume di futuro.

La guerra «scava dentro la psiche», fuorvia, mistifica, è capace di rendere un giocattolo preludio di morte, in una vera e propria lotta di ossimori.

L’appendice fotografica in chiusura è però una promessa: immortala volti e sorrisi che non intendono piegarsi alla resa. Sguardi e gesti di persone ostinate e ribelli, che invocano un grido di libertà, un impegno di civiltà, pluralità, coesistenza.

Eredi di guerra con un grande sogno di pace. A Kiev e ovunque.


© 2023 Tutti i diritti riservati

+ posts

Laureata in Filologia Moderna, Scrivo per una testata di informazione cittadina e da poco opero revisione testuale e correzione di bozze su libri eterogenei. Appassionata di poesia, ho sempre pensato che scrivere sia una sonda ed io continuerò ad esplorare.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *