Dopo avere letto tutto d’un fiato il libro di Simone De Bartolo, Le Chiese di Bari tra ‘800 e ‘900, LB edizioni, passeggio per le vie di Bari con uno sguardo diverso, trasognato, da turista che vuole verificare sul posto quello che ha letto nel libro.

Si, perché le chiese di Bari raccontano la storia della nostra città, quieti testimoni di epoche, stili e idee diverse che confluiscono nello stesso spazio.

De Bartolo, studioso di architettura e conoscitore della storia locale, con al suo attivo diverse pubblicazioni dedicate ai palazzi e ai monumenti del Ventennio barese e non solo, in questa sua ultima fatica ha focalizzato la sua attenzione sugli edifici sacri, quelle chiese sorte tra l’Ottocento e il Novecento, periodo molto spesso trascurato dall’architettura sacra.

L’Autore ci accompagna in un percorso di un secolo di storia e di arte cristiana in sedici tappe partendo dalla più antica chiesa ai confini della cinta cittadina, Sant’Antonio, a quella più periferica di Santa Fara, passando per la Chiesa russa di “San Nicola” nel quartiere Carrassi, testimonianza ecumenica del rapporto tra Cattolici e Ortodossi a Bari.

Un percorso non solo storico e architettonico ma anche teologico, condotto attraverso la lettura del simbolismo cristiano espresso, e molto spesso tradito, nell’arte moderna.

Le chiese, infatti, sono uno scrigno di opere d’arte concepite per il culto, ma anche per essere fruite “laicamente” dagli amanti dell’arte e dai semplici visitatori: il tempio si presenta come un’opera d’arte in se stessa.

A partire dai primi decenni del XX secolo, gli architetti e gli artisti in genere, abbandonarono il modello neoclassico e neomedievale e posti davanti alla scelta tra tradizione e modernità, scelsero la rottura col passato e con i canoni tradizionali dell’architettura ecclesiastica. L’esempio più rappresentativo di questo periodo a Bari è la Chiesa di San Ferdinando, che accorda i caratteri dell’architettura ottocentesca dell’interno con  quelli novecenteschi dell’esterno.

Stravolgendo i principi della progettazione degli edifici sacri, dove non è più l’architettura ad adeguarsi al culto ma è la liturgia a piegarsi a quel modernismo, si sono generati scombussolamenti di arredi sacri, spudorati restauri e demolizioni sommarie, come è avvenuto nella parrocchia di Santa Croce affrescata da Felice Umberto Colonna o nella chiesa di Santa Cecilia affrescata dai fratelli Prayer, che vennero distrutte e riedificate secondo principi moderni. A titolo di esempio, l’Autore riferisce degli affreschi di Guido Prayer, che secondo fonti dell’epoca, avrebbero ornato le pareti della navata laterale della chiesa di San Rocco, oggi totalmente spariti.

Altro esempio di modernismo architettonico, riportato da De Bartolo, è la chiesa di Santa Maria Maddalena, che negli indecifrabili propositi dell’architetto di farla rassomigliare a una tenda beduina, i cittadini del quartiere hanno chiamato ”chiesa di Goldrake” associandola alla famosa serie dei cartoni animati giapponesi.

Tuttavia molte chiese moderne conservano nel proprio interno opere sacre di pittori quali Umberto Colonna o Adolfo Rollo, che hanno mantenuto fede ai canoni tradizionali figurativi creando una dissonanza profonda tra l’aspetto esteriore dell’edificio e le opere d’arte in essa contenute.

Abbiamo appena accennato alla lettura teologica del simbolismo cristiano negli edifici di culto, non di poca importanza è la rivoluzione operata dagli architetti moderni che non osserveranno l’indicazione millenaria di costruire le chiese rivolte verso Oriente. L’Autore ne fa un breve accenno nella sua opera. Infatti per duemila anni senza interruzione le chiese sono state costruite in modo tale da avere l’abside rivolta ad oriente, dove è collocato l’altare, che per antica tradizione è la zona della luce, da dove sorge il sole, simbolo della resurrezione del Signore Gesù e del suo ritorno glorioso, in contrapposizione con la pars hostilis che identifica l’occidente, il luogo delle tenebre dove il sole tramonta, dove è l’ingresso della chiesa. In questo modo sia il sacerdote che i fedeli pregavano nella stessa direzione, cioè rivolti verso Cristo. Il sacerdote “rivolto di spalle ai fedeli” sarà in voga fino agli anni ’60, prima della riforma liturgica di Paolo VI.

Purtroppo la natura tipologica e morfologica dell’architettura sacra diventerà subordinata all’opinione dell’architetto o del parroco senza tener conto dei bisogni legati alla liturgia. Gli architetti moderni considereranno la chiesa solamente come un recipiente di persone. Non a caso le chiese saranno chiamate “aule liturgiche” e l’attenzione si sposterà verso la “comodità di fruizione”, tralasciando del tutto l’aspetto mistico simbolico, segno della lode a Dio e del mistero della Salvezza di Cristo che vi si celebra.

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Diacono della Chiesa cattolica di rito bizantino dell’Eparchia di Lungro (CS) degli Italo-albanesi dell’Italia continentale, vive a Bari, con sua moglie Magda Pacillo, dove insegna Religione Cattolica al Liceo Classico Statale “Socrate”. È Dottore in Sacra Teologia, laureato in Scienze Storico-Religiose all’Università “La Sapienza” di Roma. Maestro iconografo, dipinge icone secondo la tradizione bizantina che ha appreso dai suoi numerosi viaggi nei monasteri di Russia, Romania, Grecia e Monte Athos.

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